LA CORTE D'APPELLO
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nel  procedimento  riguardante
 Braghieri  Ivan  nato  a  Piacenza il 5 marzo 1977, ivi residente via
 Spinazzi, 40, appellante, da sentenza in data 27  febbraio  1992  del
 giudice  collegiale  per  l'udienza  preliminare  del tribunale per i
 minorenni, che dichiarava non luogo a  procedere  nei  confronti  del
 Braghieri,  per  concessione  del perdono giudiziale, per il reato di
 omicidio colposo aggravato ex art. 589 cpv., del c.p.;
    Ritenuto in premessa che:
      con la sentenza di cui in epigrafe  il  giudice  collegiale  per
 l'udienza   preliminare   riteneva   all'esito   di   tale   udienza,
 evidentemente allo stato degli atti, che risultava evidente la  prova
 sia  della  sussistenza  materiale  del  fatto integrante il reato in
 epigrafe, sia della  colpevole  commissione  di  esso  da  parte  del
 Braghieri;
      il   difensore   del  Braghieri  proponeva  tempestivo  appello,
 sollecitando  la  riforma  della  decisione,  con  l'assoluzione  del
 patrocinato  per  non  aver commesso il fatto, ed in subordine con il
 suo  rinvio  a  giudizio  ai  fini  dell'assunzione  di  varie  prove
 testimoniali idonee a dimostrare la mancanza di colpa;
    Ritenuto  che  nell'udienza  camerale  di trattazione il difensore
 dell'imputato ha sollevato questione di illegittimita' costituzionale
 dell'art. 32, primo comma, del d.P.R. n. 448/1988;
    Avuto riguardo alla struttura  della  norma  dell'art.  32,  primo
 comma,  del  d.P.R. n. 448/1988 ed alle sue correlazioni con le norme
 che disciplinano i provvedimenti terminativi dell'udienza preliminare
 ed a quelle che disciplinano  le  impugnazioni  avverso  di  esse,  e
 riflettendo sui profili di conformita' costituzionale di tale norma;
                      OSSERVA IN FATTO E DIRITTO
    La  sentenza  di non luogo a procedere per concessione del perdono
 giudiziale, pur propria del processo minorile,  e'  riconducibile  al
 modello  normativo  dell'art.  425 del c.p.p., con la conseguenza che
 l'appello dell'imputato e' disciplinato dall'art. 428,  primo  comma,
 lett.  b)  per  quanto  concerne  l'ammissibilita' del gravame, e dal
 settimo comma dello stesso articolo per quanto riguarda il  contenuto
 delle  richieste  con  tale  mezzo  di  impugnazione  proponibili  e,
 correlativamente, per quanto riguarda il  contenuto  delle  possibili
 pronunce del giudice di secondo grado.
    In  questo  meccanismo  processuale le risultanze allo stato degli
 atti assumono definitivo rilievo  probatorio  non  a  seguito  di  un
 assenso  delle parti, come nel giudizio abbreviato, ma per effetto di
 una delibazione del g.u.p.,  insuscettibile  di  rimozione  da  parte
 dell'imputato, il quale rimane privo di ogni strumento per introdurre
 nel processo nuovi mezzi di prova atti a contrastare le risultanze in
 tal modo cristallizzatesi.
    D'altra  parte  per  il  detto settimo comma il giudice di appello
 puo' o confermare la sentenza di non luogo a procedere con la formula
 della quale l'appellante si duole, overo sostituire detta formula con
 quella piu' favorevole invocata:  l'una  o  l'altra  delle  decisioni
 vadano  prese  allo  stato  degli  atti,  poiche'  non  sembra essere
 espressamente preveduto un ampliamento del costituto  istruttorio  su
 cui  il  g.u.p.  ha  fondato  la  propria  decisione, e d'altra parte
 sull'appello del solo imputato e' escluso l'esito dibattimentale.
    Orbene, se si pone attenzione al fatto che la suddetta delibazione
 di sufficienza delle  risultanze  dovrebbe  avere  solo  la  limitata
 finalita'  di  consentire il rinvio a giudizio, e correlativamente di
 escludere l'evidenza dell'innocenza, o  l'evidente  insussistenza  di
 elementi   probatori  a  carico,  si  vede  bene  come  la  segnalata
 preclusione di attivita' probatoria per l'imputato si risolve in  una
 rilevantissima  compressione del diritto di difesa quanto meno in una
 fase del processo che equivale ad un vero e proprio giudizio di primo
 grado.
    Tale compressione e' di decisiva rilevanza con riguardo alla norma
 dell'art. 32 pp., del d.P.R. n. 448/1988, in  quanto  la  concessione
 del  perdono  giudiziale, non costituendo una causa di estinzione del
 reato, ovvero una causa di improcedibilita', ovvero, ancora, un  caso
 di  irrilevanza  del  fatto,  situazioni tutte rispetto alle quali la
 preliminare verifica giudiziale in questa sede si  puo'  limitare  al
 tema  dell'astratta configurabilita' della fattispecie, presuppone il
 positivo accertamento del reato e  della  sua  riconducibilita'  alla
 condotta   dolosa   o   colposa   dell'imputato,   tant'e'   che   e'
 dall'accertamento del fatto e della sua concreta  configurazione,  in
 funzione   della  determinazione  della  pena  irrogabile,  che  sono
 impedite o condizionate le concessioni plurime del beneficio.
    Sussistono quindi sufficienti ragioni di  configurabilita'  di  un
 contrasto,  rispetto  all'art.  24  della Costituzione, dell'art. 32,
 primo comma, del d.P.R. n. 448/1988, la' dove  esso  prevede  che  il
 giudice  per  l'udienza preliminare possa pronunciare sentenza di non
 luogo a procedere per concessione del  perdono  giudiziale  decidendo
 allo stato degli atti.
    E'  evidente  la  rilevanza  della  questione,  dal momento che in
 questo grado e' di  ufficio  rilevabile  l'insussistenza  dei  poteri
 decisori del primo giudice.